La disposizione dell’art. 24 comma 3 c.c., che condiziona la legittimità del provvedimento di esclusione del socio all’esistenza di gravi motivi, esprime un concetto relativo ed elastico, suscettibile di essere specificato dagli associati nell’esercizio della loro autonomia organizzativa, che postula comunque una valutazione di proporzionalità tra l’entità della lesione posta in essere dall’associato e la radicalità della sanzione irrogata dall’associazione. Il giudice investito della domanda sulla legittimità del provvedimento di espulsione, è tenuto ad accertare non solo se esso sia stato deliberato nel rispetto delle regole procedurali al riguardo stabilite dall’atto costitutivo e dallo statuto, ma anche a verificarne la legittimità sostanziale e quindi a stabilire se sussistano le condizioni legali e statutarie in presenza delle quali siffatto provvedimento può essere legittimamente adottato.
Il fatto generatore di danno non consiste nella pura e semplice costruzione di macchine interferenti con il brevetto, bensì nella loro messa in commercio. Qualora il titolare di brevetto non dimostra di essere colui che sfrutta il brevetto stesso, e risulta che l’invenzione sia sfruttata, in base ad un contratto di licenza, da altri, egli può pretendere, a titolo risarcitorio, unicamente la mancata percezione delle royalties, ossia ciò di cui egli avrebbe avuto diritto da parte di un eventuale licenziatario, avendo egli ceduto a terzi il diritto di utilizzo dell’invenzione. In assenza di qualsivoglia allegazione agli atti circa la percentuale concretamente percepita dal licenziatario, le royalties devono essere quantificate dal Tribunale in via equitativa, sulla base dell’art. 86 del R.D. n. 1127/1939. Detta norma, occupandosi della determinazione del quantum, autorizza infatti una stima globale sulla scorta degli atti di causa e delle presunzioni che ne derivano, non discostandosi quindi dal disposto generale di cui all’art. 1226 c.c..
Un credito può venir eccepito con l’opposizione ex art. 615 c.p.c. dal debitore quale causa estintiva di un credito fondato sul titolo giudiziale solo allorché sia sorto in epoca successiva alla formazione del titolo (Cass. I, sent. 24.4.2007 n. 1992).
Un credito può venir eccepito con l’opposizione ex art. 615 c.p.c. dal debitore quale causa estintiva di un credito fondato sul titolo giudiziale solo allorché sia sorto in epoca successiva alla formazione del titolo (Cass. I, sent. 24.4.2007 n. 1992).
Il giudizio di opposizione allo stato passivo ha natura impugnatoria con la conseguenza che non possono essere prese in esame questioni non dedotte dal creditore con la istanza di insinuazione, essendo cioè vietato (divieto rilevabile ex officio) far valere non solo un credito diverso da quello ivi indicato ma anche diverse connotazioni del medesimo credito (cfr. Cass. 12108/04).
Il sopravvenuto fallimento del debitore ingiunto rende inopponibile alla procedura il decreto ingiuntivo già emesso ma non divenuto definitivo, non essendo esso equiparabile alla sentenza non definitiva ai fini dell’ammissione con riserva ex art. 96 LF (cfr. Cass. 6098/06, 5727/04), dovendo quindi il preteso credito venire accertato in concorso con la massa nella fase di ammissione al passivo, ovvero in sede contenziosa innanzi al Tribunale Fallimentare ex art. 98 LF.
Il riconoscimento della natura privilegiata al credito di cui all’art. 2751 bis n. 5 c.c. si fonda sull’esigenza di accordare all’artigiano una tutela similare a quella dei lavoratori dipendenti o parasubordinati e, pertanto, si ricollega ad una nozione di artigiano quale imprenditore che svolge un’attività produttiva o di fornitura di servizi ricavandone un reddito equiparabile a quello del dipendente, ferma restando, la differenza dovuta all’esistenza del rischio d’impresa.
In tema di opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento del compenso spettante ad un professionista, la contestazione mossa dall’opponente circa la pretesa fatta valere dall’opposto, sulla base della parcella corredata dal parere del competente ordine professionale, non deve necessariamente avere carattere specifico, essendo sufficiente una contestazione anche di carattere generico ad investire il giudice del potere-dovere di dar corso alla verifica della fondatezza della contestazione e, correlativamente, a determinare l’onere probatorio a carico del professionista in ordine tanto all’attività svolta, quanto alla corretta applicazione della pertinente tariffa. [Nel caso di specie a fronte delle contestazione mossa dall’opponente circa la corretta applicazione della tariffa professionale dei ragionieri commercialisti, il Giudice ha ritenuto opportuna una verifica delle parcelle azionate tramite apposita consulenza tecnica].
La qualità artigiana dell’impresa, ai sensi dell’art. 2751 bis n. 5 c.c., non va desunta dall’iscrizione nell’albo, condizione necessaria ma non sufficiente – non assumendo questa valore costitutivo e potendo, comunque, essere sempre sindacata dal Giudice Ordinario – ma va accertata con riferimento al criterio della preminenza del lavoro in prevalenza personale ed anche manuale del titolare o dei soci nel processo produttivo rispetto al capitale investito, in modo da imprimere alla stessa un carattere personale, e quindi va accertata unicamente con riferimento alla sua organizzazione ed alla sua espansione aziendale.
L’assicuratore, che paga il debito del proprio assicurato in virtù della polizza fideiussoria, è surrogato nei diritti del creditore, contro il debitore ex art. 1949 c.c. con subingresso dello stesso fideiussore nella identica posizione giuridica del creditore principale, ivi comprese le cause legittime di prelazione che assistono il credito estinto.